Nico Rosberg, nato in Germania da padre Finlandese, cresciuto a Monte Carlo, Principato di Monaco, non è solo un figlio d’arte e un ottimo pilota di F1, è anche un uomo di mondo. Parla cinque lingue, incluso l’Italiano. Durante la premiazione dell’odierno (4 Settembre 2016) di Monza Eddie Jordan, camicia dubbia e un leggero velo di inadeguatezza, tenta in tutti i modi di virare e conservare la conversazione sulla lingua Inglese ma Rosberg lo interrompe e dice ‘adesso parliamo Italiano’.
Poi si rivolge al pubblico e aizza la folla cercando di coinvolgerli nel cantare “po-po-po-po-po”, motivetto di Seven Nation Army dei White Stripes che noi Italiani abbiamo collettivamente adottato come nostro inno non ufficiale per ogni evento calcistico dal mondiale (vinto) del 2006 in poi. E Eddie Jordan, di nuovo impreparato, non capisce il nesso. Beato lui che ha quella camicia lì. E bravo Nico.
Un po’ meno bravo il suo compagno Lewis Hamilton. Ha pochi limiti in pista, ma due di questi si fanno sentire con occasionale inevitabilità, il primo sono le frenate al limite, la troppa irruenza che lo porta a sbagliare la tempistica arrivando al bloccaggio delle ruote, il secondo è la partenza, oggi sbagliata, che gli è costata il primo posto. Mondiale apertissimo, tra l’intelligenza tattica e la regolarità di Rosberg, la velocità netta e aggressività di Hamilton.
Bene, ma non benissimo le Ferrari. Terzo e quarto posto, impossibile fare di più ma se non altro riporta Vettel sul podio, podio che mancava alla Rossa da troppo tempo.
Altre due menzioni d’onore vanno a Fernando Alonso. Dai box fanno il punto della situazione, ‘siamo 13° abbiamo davanti questo, quello, quell’altro e magari’, e Alonso che se la ride, giustamente, perché tra arrivare 13° o 11° non cambia niente.
Seconda menzione d’onore va a Monza. Il circuito storico della Formula 1, arricchito e abbellito dalla spettacolare cornice di pubblico rosso di oggi, rimarrà in calendario per altre tre stagioni (a un costo enorme, va detto.)
Bene così? Bene così.
Ci vediamo a Singapore.
testo: Alessandro Renesis
foto: getty & Monzanet