Non mi è mai piaciuta l’espressione “non ho tempo da perdere io” e ho sempre trovato molto antipatico chiunque la usi con un’irritante frequenza. Non tanto perché io non abbia impegni e scadenze, ci sono dei momenti in cui ho talmente tante cose da fare che mi invento pasti inesistenti per farcele rientrare tutte, “sì, dai, guarda ho un buco libero di 37 secondi per domani. Ci facciamo una birra per PRANZAZIONE o magari un panino per COLACENA?”.
Ma io divago.
E’ che non mi piace quell’espressione perché è potentemente e fastidiosamente pretenziosa. Lascia intendere che nessun altro abbia mai niente da fare.
Comunque, per quanto detesti questa frase e chi la usa, è l’unica risposta che mi è venuta in mente quando, tempo fa, ho ricevuto una chiamata mentre ero a lavoro. Due personaggi, facenti parte della categoria di persone che chiamo “amici” e che per privacy chiamerò John e Jane, dall’altra parte della cornetta mi proponevano “che ne pensi di andare a Amsterdam in auto?”. Lì per lì non mi pareva una grande idea. Percorrere 1.400 km in un giorno attraversando quattro nazioni richiede una concezione di “vita” un po’ diversa da quella standard. Ma devo ringraziare chi mi ha trascinato in quella storia, perché io adesso ho quella concezione di vita. Dopo quell’esperienza, in un giorno sono andato svariate volte in Francia, in cima all’Italia, in fondo all’Italia e così via; e adesso affronto un viaggio di, diciamo meno di 250 km, allo stesso modo in cui affronto l’idea di guidare fino al supermercato dietro l’angolo per comprare del latte. Salgo in auto, accendo, guido, arrivo. Fine.
Così, con lo spirito giusto e pochi bagagli, alle 4 del mattino io, John e Jane ci troviamo nel nostro bar preferito, che a rigor di cronaca è giusto specificare si tratta di un pub, pronti a partire. Da Firenze a Amsterdam, in auto con gli Oasis come sottofondo. Va detto che ci sono motivi peggiori per fare alzatacce. Siamo svegli, determinati e pieni di caffè per cui i 400 km d’Italia scorrono veloci, così come i 300 km di Svizzera. Ad un certo punto del nostro viaggio, più o meno all’altezza di Ginevra, mi ricordo di una gita scolastica e insisto per fermarmi in un posto che mi era rimasto particolarmente a cuore: Friburgo, in Germania.
Friburgo è uno dei luoghi meno “tedeschi” in cui possiate andare a finire. E’ una città che sorge ai limiti di un’area di origine vulcanica, circondata da vigneti e con un centro storico intriso di arte e storia. Niente di particolarmente teutonico appunto. E’ la quarta città in quanto a grandezza del Baden-Württemberg, il terzo stato federato tedesco per estensione, e con una popolazione di quasi 220.000 abitanti nessuna guida turistica la definirebbe mai “borgo”. Ma è quello che sembra. Vi si respira un’aria particolare e dal sapore vagamente “medievale”, a metà tra un paesino dell’entroterra francese e un borgo murato in Toscana. Le strade del centro, pavimentate con lastroni e pietroni, sono piene di chiese e monumenti, ma soprattutto di negozi di degustazione di formaggi e vini e prodotti tipici. Ci si imbatte inoltre con una certa frequenza in negozietti artigianali che lavorano il legno per produrre oggetti principalmente ornamentali, ma anche utensili da cucina, accessori per il bagno e per la camera da letto.
Ci fermiamo due giorni a Friburgo. Fosse stato per me sarei rimasto due anni. Ma tant’è, la meta è Amsterdam, e quindi la mattina successiva siamo di nuovo in viaggio.
Il giorno successivo ci aspetta una cavalcata sulle Autobahn tedesche. La nostra auto divora l’asfalto come fosse gelato in un’afosa sera di Agosto e in poche ore i 500 km di Germania sono visibili attraverso lo specchietto retrovisore mentre noi facciamo il nostro ingresso in nel paese arancione dei tulipani. L’accoglienza non è delle migliori. Pochi chilometri dopo il confine con la Germania, nei pressi di un autogrill, un elicottero pilotato da un tizio di nome Van Qualcosa è costretto a un atterraggio d’emergenza in autostrada. Niente di grave. Nessun morto. Nessun ferito. Nessun danno a cose o persone. Ma tre ore di fila sotto il sole cocente e con l’asfalto rovente sotto i piedi non ce le toglie nessuno. Mi rendo conto che i Paesi Bassi sono parecchio a nord rispetto a noi, e sono convinto che molti vi diranno che lassù è “freschino” e si sta bene. Fidatevi, quando è caldo è caldo. Ovunque. Trenta gradi sono pur sempre trenta gradi. E a meno che non siate a Cape Town, il 4 agosto è Estate. Anche in Olanda. Una snervante attesa e svariati litri d’acqua fresca dopo, di nuovo in movimento, decidiamo per un’ultima sosta, prima di Amsterdam: Eindhoven.
Che è una città dei Paesi Bassi.
Questo è tutto quello che mi sento di dire su Eindhoven, perché a parte il cielo più grigio e plumbeo che abbia mai visto in vita mia, e un gruppo di (siamo onnipresenti) italiani al bar che ci spiega cosa vedere e cosa no, niente in questa città riesce a catturare la mia attenzione.
Alcuni dicono che per capire davvero una cosa bisogna viverla e che per apprezzarla non basta un’occhiata furtiva. Non sono d’accordo. Non hai bisogno di guardare a lungo Elisabetta Canalis per capire che è una bella donna. Non ti servono due mesi a Las Vegas per sapere che l’adori. Dopo quattro minuti lo sai già. O la ami o la odi. Il momento stesso in cui ho messo piede nel Regno Unito per la prima volta ho pensato “adoro questo paese”. Sono passati alcuni anni e sono tornato nel Regno Unito sette-otto volte. E l’adoro sempre di più. Per cui Eindhoven rimane lì, una città da qualche parte mille chilometri sopra la mia testa. Ci dormo bene lo stesso la notte. Stranamente però, forse proprio per farmi dispetto, a John e Jane Eindhoven piace, per cui nonostante le mie insistenze per andarcene immediatamente, finisco col farmi convincere che passare una notte lì può essere una buona idea.
Fatto trenta, facciamo trecentomila.
Il mattino successivo, dopo svariati insulti da parte mia nei confronti dei miei compagni di viaggio, finalmente ripartiamo. Finalmente Amsterdam.
Amsterdam. La definiscono la Venezia del nord. Non che questo voglia dire molto. Potrei farvi un elenco, così su due piedi, di almeno cinque città al mondo che definiscono “la Venezia” del nord, del sud, dell’ovest, dei paesi scandinavi, d’America, d’Asia, e così via.
Venezia è Venezia. Amsterdam è Amsterdam. Paragonarle è vagamente riduttivo. Per entrambe. Amsterdam è la città delle droghe e alcol, del sesso libero e dell’antiproibizionismo. Del museo di Van Gogh, della casa di Anna Frank e della seconda casa più piccola del mondo lungo il canale di Singel al numero 7.
Vedete? Riduttivo. Amsterdam è anche la città delle biciclette, della casa automobilistica Spyker (cercate su google, produce alcune tra le più belle auto di sempre). E’ anche la città dei diamanti. Sapevate che a Amsterdam c’è una delle più antiche fabbriche di lucidatura di diamanti al mondo? Si chiama Coster Diamonds, è operativa dal 1840 e nei primi anni ’90 si è guadagnata un posto nel guinness dei primati per aver lucidato il più piccolo diamante del mondo.
Se vi avanzano un po’ di soldi e un po’ di tempo, credetemi questo strambo viaggio on the road è un buon modo per spendere entrambi. Il modo più veloce e comodo per arrivare a Amsterdam è prendere l’autostrada e seguire per Como, poi Svizzera, verso la Germania, una volta in Germania seguire per Karlsruhe, Wiesbaden, Mainz, Hannover, poi in Olanda, Eindhoven e poi Amsterdam.
A parte l’Italia, che conosciamo, e tralasciando l’Olanda, che è comunque piuttosto piccola; ci sono due stati da attraversare: Svizzera e Germania.
La Svizzera non è una nazione enorme, si estende per poco più di 300 km, ma si tratta di 300 km in cui sarete obbligatoriamente costretti a una velocità media di 100 km/h. Generalmente i luoghi comuni sui viaggi sono i più sballati, il sistema di trasporto pubblico britannico non è così efficiente come si crede e i francesi non sono poi così terribili, ma se avete sentito qualche storia dell’orrore sulla Svizzera. Credeteci. La Svizzera è un paese che detesta le auto. Se fosse una persona sarebbe un convinto eco-ambientalista. Quindi sgarrare sui limiti di velocità è improponibile e sconsigliabile. Poi si arriva in Germania e qui, invece, un luogo comune va a sbriciolarsi. Vi sarà capitato di trovarvi nel traffico autostradale, magari con limiti di velocità assurdamente bassi, e qualche vostro amico avrà affermato che in Germania le strade sono splendide, non ci sono limiti di velocità ed è un Paradiso per l’automobilista. Nessun pedaggio, nessun limite di velocità, niente lavori in corso etc.
E’ tutto vero. Eccetto per un piccolo particolare: è falso.
La prima cosa che va detta è che molti credono che il sistema autostradale tedesco sia al 100 % privo di limiti di velocità. Dato impressionante e ancora una volta sbagliato. Solo circa il 40 % di tutti i tratti autostradali è in effetti senza limiti. E se questo non fosse abbastanza, nei più di 1000 km che abbiamo percorso là, 2000 se si considera il ritorno, abbiamo trovato trattori, lavori in corso, tir che viaggiavano a 5 km/h nella corsia di sorpasso, tir che superavano tir che facevano 5 all’ora andando a 6 all’ora e sì, è vero, le autostrade sono ampie e a quattro corsie per senso di marcia, ma questo vale solo per le aree intorno alle grandi città, così come in tutte le nazioni europee. Guidate intorno a Milano, Roma o Londra per esempio e troverete anche lì quattro corsie per senso di marcia. Ma ne vale la pena. Di solito non mi piace dare consigli perché, per via del mio carattere un po’ così, tendo a farli suonare come ordini piuttosto che spassionati suggerimenti. Ma voglio fare un’eccezione. Non credo ci sia bisogno di dirvelo, ma viaggiate. Viaggiate parecchio. Viaggiate ovunque. E quando possibile, viaggiate in auto.
Il motto della Spyker, casa automobilista di Amsterdam che ho menzionato prima, è “Nulla tenaci invia est via”, che in Latino significa: “Per i tenaci nessuna strada è invalicabile.”
Per cui se domani un vostro amico vi dovesse chiamare per chiedervi se vi va di andare da Milano a Oslo su una decappottabile gialla. Non abbiate dubbi.
La risposta giusta è sempre sì.
Friburgo, Eindhoven, Amsterdam – Agosto 2007
Testo e foto di Alessandro Renesis
riproduzione riservata°
Bbb Occhiali Winner Giallo 2013
Lascia stare: la scrittura non fa per te.
Ne traspare un profilo pretenzioso e supponente in assoluta contrapposizione con ciò che dici di non amanre. Prima di parlare guardati allo specchio e cerca di capire chi sei e cosa vuoi. Risulterai meno noiso/a
ok
Ah questa poi…. anche i critici letterari, ma fate pace con il cervello . ” Perchè guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”