
American Eagle, un marchio d’abbigliamento che come si evince dal nome è statunitense che più statunitense non si può, è finito nell’occhio del ciclone per una campagna pubblicitaria con Sydney Sweeney.
L’oggetto della discordia è stata una letale combinazione di uno slogan che menziona una parola tabù, i geni, inteso come gene umano, e aver scelto Sweeney, che, secondo la brigata woke, avrebbe a quanto pare tre difetti.
È troppo bella, troppo caucasica e non esprime i soliti concetti politicamente corretti con sufficiente convinzione e frequenza.
Un prodotto dei nostri tempi
Sweeney, che agli occhi di alcuni ha anche il ‘difetto’ di amare le auto classiche, in realtà non ha fatto niente di male.
Il problema è che per alcune persone oggi non fare niente di male non è sufficiente, bisogna farsi vedere mentre si fa attivamente qualcosa di buono.
E qualcosa di buono, secondo alcuni, è un costante tentativo di essere politicamente più corretti possibile.
La campagna pubblicitaria gioca su un gioco di parole, perdonate la ripetizione, jeans-genes.
Ovvero jeans, ma anche geni intenso come genetica.
Sydney Sweeney è bella (non viene detto del video ma è implicito) perché ha dei buoni jeans/geni.
“I genes (geni) si tramandano da genitore a figlio e determinano cose come il colore dei capelli e degli occhi, e la personalità. I miei jeans sono blu,” dice Sweeney nel video.
E la voce fuori campo aggiunge, “Sydney Sweeney ha ottimi genes/jeans”.
Gioco di parole riuscito? Forse no? Di buon gusto? Forse no? Forse. Non importa.
Ognuno ha la propria opinione, ma da qui ad accusare questa campagna di onnipresente discriminazione ce ne passa.

Una persona che vive pensando che tutto sia offensivo e che tutto ciò che è offensivo meriti la cancellazione definitiva vive usando uno standard insostenibile, perché prima o poi tutti, inclusi quelli che la pensano così, faranno qualcosa reputato offensivo da altri.
E a quel punto rimangono due scelte, o si accetta il proprio ‘destino’ o, come spesso accade, si usano due pesi e due misure cercando di salvarsi dalla macchina ‘trita-pensieri’ che fino a ieri sostenevamo ma ora sta per divorare noi.
Nel frattempo aspettiamoci quello che succede sempre in questi casi.
Boicottaggio di American Eagle da parte di una fetta degli Stati Uniti, compensato da deliberato sostegno con acquisto di azioni e prodotti American Eagle (anche da chi magari non ricordava neanche dell’esistenza del marchio) dall’altra fetta degli Stati Uniti.
E fra qualche mese ce ne saremo dimenticati.

2 risposte a "Cos’è successo con la pubblicità di Sydney Sweeney che ha mandato in tilt la brigata ‘woke’"