
Una nuova rubrica, un appuntamento fisso ogni secondo e quarto Lunedì del mese.
L’Editoriale del Lunedì.
Il primo editoriale è dedicato alla delicata situazione di Stellantis tra estero e Italia.
Stellantis continua a fare un passo avanti, uno indietro e due di lato. A ormai tre anni dalla fusione tra FCA e PSA, non è cambiato niente.
I brand che soffrivano prima, quasi tutti dentro FCA, soffrono ancora. I brand che andavano bene prima, quasi tutti dentro PSA, vanno più o meno ancora bene.


Certo, gli ultimi anni sono anche stati caratterizzati da una corsa frenetica all’elettrico. Ognuno in ordine sparso.
C’è chi ha detto tutto e solo elettrico da domattina, c’è chi ha detto “no mai”, e c’è chi, e sono in pochi, ha preso la transizione per quello che è, ovvero una svolta tecnologica sì, imposta per questioni puramente politiche, ma anche un’opportunità.
Porsche dovrebbe far scuola con Taycan, che è diventata da subito un best-seller.

Stellantis non ha fatto né l’uno né l’altro.
Il problema vero, per noi, è che la parte italiana, che tra l’altro di ‘italiano’ ormai ha poco, non conta quanto dovrebbe in Stellantis.
Lo dicono i numeri. L’obiettivo concordato col governo era per un milione di veicoli all’anno prodotti in Italia. Nel 2023 siamo arrivati a 751.000 unità.
Nel 2024 la stima è di circa 630.000 veicoli.
Si tratta di una decrescita marcata, con produzione più che dimezzata sia a Torino che a Melfi, e ancora peggio va a Cassino, in provincia di Frosinone. E c’è di più.
I numeri vengono tenuti a galla con i veicoli commerciali, perché la produzione auto è scesa del 23.8 percento.

Stellantis sembra avere una tendenza naturale nel non intercettare situazioni strategiche. Produce a volte veicoli dove non sono richiesti. E soprattutto ha ancora troppi brand che non si sa che in direzione vogliano andare.
Peugeot va abbastanza bene, così come Opel (e Vauxhall) che però hanno esattamente le stesse fette di mercato che avevano prima.
Ram vende bene perché i pick-up negli Stati Uniti la fanno ancora da padrone.
E poi ci sono gli altri.

A parte Citroën che galleggia, gli altri marchi sono un punto interrogativo.
Abarth e DS rimangono brand di nicchia senza nessuna apparente possibilità, o ambizione, di allargare il proprio raggio.
Chrysler non si sa a cosa possa servire, Fiat continua a campare di Panda e 500, Maserati non riesce a crescere, cosa che invece ha fatto, e bene, Porsche, che una volta occupava (quasi) lo stesso segmento di mercato.
E poi siamo alla parte che a noi italiani brucia, perché Lancia e Alfa Romeo sono in perenne coma. Spiace dirlo ma l’ultimatum dato dall’ad di Stellantis (“avete 10 anni per tirare su Alfa Romeo, altrimenti mettiamo il brand nel cassetto”, parole più o meno testuali) sembra premonitore.
Certo, più facile a dirsi che a farsi, ma la soluzione è sempre quella, ovvero sviluppare tanti modelli utilizzando poche piattaforme modulari.
Servono soldi, sì, ma bisogna anche volerlo fare.

Una risposta a "I problemi di Stellantis che impattano l’Italia, L’Editoriale del Lunedì"