Una vittoria che è lì, in arrivo, che sia fra poche ore o poche giorni, per un mondiale che è stato scritto e concluso con la testa, prima ancora che con le mani e con il piede destro. Quello che controlla il pedale del gas per chi, come Lewis Hamilton, ha imparato anche a dosarlo quando serve.
Impressionante, per costanza di rendimento (ha vinto almeno un GP per ognuna delle 12 stagioni di F1 in cui ha corso) e per solidità mentale. Pilota inossidabile nell’abitacolo e stella glamour fuori. Nessuno come lui. Come scriveva il nostro Davide Valsecchi, che oltre a essere un ottimo pilota è pure bravo con le parole, “Nessuno può fare quello che fa Hamilton. Vita da rockstar fuori e sempre il risultato in pista.”
Primo atleta di colore a vincere un mondiale F1. Appena sfiorato, perso un punto, nel 2007 e poi vinto, di nuovo per un solo punto, nella stagione successiva. Col padre, ma questa ormai è accademia e lo sappiamo tutti, che faceva quattro lavori contemporaneamente e con una situazione familiare non semplice anche per il fratello con delle problematiche motorie. Tirato su da solo, il Luigino, e adesso che ha capito che i mondiali si vincono anche con la calcolatrice e la lucida freddezza in testa, boh, sarà difficile strappargli il titolo finché non decide lui di smettere. Il migliore, al momento, e uno fra i migliori cinque di sempre, parola di Fernando Alonso.
Fra poco meno di due ore, al via del GP Messicano, ci sarà la possibilità di vedere già Hamilton campione, cinque volte come Fangio. Al di là delle simpatie e dei campanili abbiamo assistito alla rivoluzione del personaggio, da introverso e fidanzatissimo a superstar sempre in giro per il mondo, contrapposta all’evoluzione quasi esattamente opposta del pilota. Da velocissimo ma un po’ cavallo pazzo a velocissimo, ma calmo e compassato. Gli basta un settimo posto. Ma tanto sappiamo già che proverà a vincere.
Questo pezzo è stato pubblicato anche su Drive Tribe, nella mia rubrica Game Changers.